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Da Marciana Marina si prosegue per Marciana e quindi sempre sulla strada panoramica verso ovest per la Zanca. Da qui si scende verso la costa raggiungendo il parcheggio di Capo Sant’Andrea. Si prende il sentiero verso ovest che costeggia il mare raggiungendo il Capo Sant’Andrea ove la costa si fa meno acclive (Fig. 1). Lungo il sentiero e a Capo Sant’Andrea affiora il plutone di M. Capanne.
Il plutone di Monte Capanne (con età radiometrica di raffreddamento di circa 6,8 Ma, ovvero Messiniano inferiore p.p.) ed il suo corteo filoniano di dicchi, generalmente leucogranitici ed aplitici, rappresentano la testimonianza del magmatismo post-orogenico in Toscana (Eberhardt & Ferrara, 1962; Borsi e Ferrara, 1971; Saupe et al., 1982; Juteau et al., 1984; Coli et al., 2001; Dini et al., 2002; Gagnevin et al., 2004, 2005, 2008, 2010; Westerman et al., 2004; Farina et al., 2010). Questo corpo magmatico si è intruso nelle rocce della successione ofiolitica dell’Elba occidentale (Unità Monte Strega in Principi et al., 2015) che sono state da esso termometamorfosate (vedi Stop di Spartaia). In particolare, il plutone del Monte Capanne è stato alimentato da diversi impulsi di magma che si fusero in una sola intrusione. Tre facies principali (Dini et al., 2002; Westerman et al., 2004; Farina et al., 2010) possono essere rilevate alla scala dell’ intero corpo magmatico (ma le primi due sono le più importanti):
1) la facies di Sant’Andrea a composizione monzogranitica è caratterizzata da numerosi grandi megacristalli di K-feldspato ed inclusioni mafiche (di colore scuro) di varie dimensioni;
2) la facies granodioritica-monzogranitica di San Piero, che viene cavata nell’omonima località, presenta una consistenza omogenea essendo priva di grandi megacristalli e inclusi mafici;
3) la facies di San Francesco presenta caratteristiche intermedie.
A Capo Sant’Andrea è ben esposta la facies di Sant’Andrea del plutone di M. Capanne. Questa facies ricca in megacristalli di felspati bianchi (Figg. 1 e 2) è anche tipica delle parti esterne di altri plutoni dell’Arcipelago Toscano (ad esempio i plutoni delle isole del Giglio e di Montecristo). La roccia granitoide di colore grigio chiaro-biancastro presenta una struttura granulare da media a grossolana, ma anche porfiroide ed ipidiomorfa per la presenza dei megafenocristalli feldspatici ad abito prismatico (Fig 1 e 2). La massa di fondo xenomorfa è composta da ortoclasio pertitico, quarzo, plagioclasio acido-intermedio e laminette di biotite. Inoltre, a scala microscopica, sono riconoscibili apatite, zircone, tormalina, sphene, e monazite come minerali accessori.
Specialmente in questo affioramento nel monzogranito sono presenti inclusi mafici con bordo rotondeggiante e di forma ellissoidale e di dimensioni da centimetriche fino a metriche (Fig. 3) che rappresentano oltre l’1-2% della superficie affioramento. In particolare questi sono costituiti da rocce a grana fine e di colore grigio scuro. Dal punto di vista composizionale possono essere classificati come rocce da tonalitiche a monzogranitiche. Infatti la paragenesi mineralogica degli inclusi mafici è simile a quella del granitoide incassante, anche se con più alto contenuto in biotite e plagioclasio. L’inclusione di megacristalli K-feldspato e di cristalli di plagioclasio provenienti dal corpo granitoide incassante è indicativo di un comportamento plastico durante la messa in posto di questi corpi mafici nella massa granitoide.
In particolare nel disegno di Fig. 4 sono evidenziate le relazioni tra un incluso mafico ed il granitoide incassante. Sono riconoscibili tre strutture principali: a) megacristalli di K-feldspato trasversali al contatto tra l’incluso ed il granitoide incassante; b) megacristalli K-feldspato, completamente circondati dalla massa cristallina mafica recante strutture complesse; c) zone dell’incluso mafico recanti strutture a \"pista\" (tipo \"Schlieren\") indicative di movimenti plastici all’interno dell’incluso stesso ancora parzialmente fuso. Queste caratteristiche, unitamente alla loro forma da ellissoidali a sferica a forme arrotondate, i loro margini cuspidati e la tessitura magmatica, indicano che gli inclusi rappresentano magmi mafici iniettati e meccanicamente smembrati (\"mingling\") nella massa granitoide ancora non consolidata del plutone di M. Capanne. Questi inclusi mafici possono essere facilmente distinti dai frammenti di rocce metamorfiche (\"xenoliti\") generalmente ad aspetto angolare presenti nella parte esterna del plutone prossima al contatto con le rocce dell’anello termometamorfico (vedi Stop di Spartaia). La massa cristallina del granitoide ed anche le rocce dell’aureola termometamorfica sono tagliate localmente da faglie e fratture che si svilupparono durante le fasi di raffreddamento del plutone con disposizione per lo più radiale e concentrica rispetto al plutone stesso. Alcune di queste hanno permesso l’intrusione di filoni mafici così come in altre parti del plutone (vedi Principi et al., 2015 e carta geologica). Questi filoni magmatici, denominati Porfido di Orano (OD in Fig. 5) presentano caratteristiche diverse dagli inclusi mafici del granitoide a causa di: a) colore da grigio scuro fino al verdastro; b) andamento circa rettilineo, ma comunque sinuoso che indica che sono stati iniettati nel corpo monzogranitico ancora non completamente cristallizzato; c) la presenza di inclusi mafici microgranulari e megacristalli di K-feldspato. Inoltre i dati chimici mostrano che i filoni presentano una composizione diversa e meno evoluta rispetto al granitoide ed anche ai suoi inclusi mafici. A tale riguardo la composizione isotopica delle rocce intrusive granitoidi dell’Isola d’Elba mostra un alto rapporto 87Sr/86Sr (da 0.71464 a 0.71528) e bassa rapporto 143Nd/144Nd (da 0.51209 a 0.51212) (Juteau, 1984). Questi valori, accoppiati con alti valori di 18O (11,40-11,43 in Turi & Taylor, 1976) e dati degli elementi in tracce (Poli 1992) mostrano una chiara origine crostale delle rocce granitoidi, mentre gli inclusi mafici ed i filoni di Porfido di Orano hanno una provenienza più profonda. Questi ultimi contaminarono i magmi granitoidi soprastanti o rimanendo in forma di corpi \"immiscibili\" (es. gli inclusi mafici) per processi rispettivamente di mixing e mingling (vedi Peccerillo et al, 1987;. Poli et al, 1987;. Innocenti et al, 1992;. Poli, 1992). L’età radiometrica dei filoni del Porfido di Orano è di 6,85 Ma.
Da Marciana Marina si prosegue per Marciana e quindi sempre sulla strada panoramica verso ovest per la Zanca. Da qui si scende verso la costa raggiungendo il parcheggio di Capo Sant’Andrea. Si prosegue lungo costa verso est fino a Punta del Cotoncello. Qui sono ben esposte interessanti strutture fluidali presenti all’interno del corpo granitoide già descritte da Boccaletti & Papini (1989).
Le strutture interne sono costituite da piani e lineazioni definite dall’orientazione degli inclusi mafici e xenoliti, nonché da quella dei megacristalli di K-feldspato (Fig. 1), dei cristalli di plagioclasio e delle miche (essenzialmente biotiti). Le tessiture osservate danno informazioni sia sulla forma del corpo intrusivo, sia sulle sue condizioni di messa in posto. In particolare queste evidenziano le sollecitazioni che la massa magmatica ha subito durante le fasi di sollevamento e di solidificazione.
Le strutture interne (foliazioni) formate durante la messa in posto del magma mostrano che i cristalli e gli inclusi mafici scorrevano in sospensione nella massa fusa viscosa fino alla sua completa solidificazione. Dal momento che la fase magmatica solidifica con continuità, le foliazioni nei granitoidi possono derivare da diversi meccanismi come il flusso magmatico, il flusso submagmatico, deformazioni allo stato solido ad alta moderata e bassa temperatura. che suggeriscono anche alcuni criteri di riconoscere l’origine della foliazione. Ad esempio, un pronunciato parallelismo delle strutture interne in prossimità dei margini di intrusione è un buon indicatore di foliazione magmatica che può essere utilizzata per dedurre la forma del corpo intrusivo, in quanto il grado di isoorientazione dei minerali di solito aumenta ai margini di intrusione.
Gli affioramenti di Punta del Cotoncello sono tra i migliori per osservare questi caratteri strutturali all’interno del granitoide nelle sue zone più esterne. Qui l’isorientazione dei megacristalli di K-feldspato e le strutture vorticose fluide rappresentate da entrambe biotiti e fenocristalli di K-feldspato sono molto evidenti (Figg. 1 e 2). La presenza di queste caratteristiche indica un rapido raffreddamento nelle zone dei margini del plutone. Sempre a Punta del Cotoncello è evidente all’ interno della massa granitoide la presenza di uno spesso filone magmatico biancastro (Leucogranito di Punta del Cotoncello). Questo filone, che intrude sia il Monzogranito di Monte Capanne che la sua aureola termometamorfica, presenta una lunghezza di circa 500 metri ed una larghezza massima sui 100 m e una composizione monzogranitica, con scarsi megafenocristalli di K-feldspato e assenza di inclusioni mafiche. La massa di fondo cristallina è più fine di quella del Monzogranito di Monte Capanne. Dato che questo filone è tagliato dal Porfido di Orano ed intrude il Monzogranito di Monte Capanne, risulta anche per esso una età miocenica superiore (Messiniano inferiore p.p.). Ritorniamo a ritroso al parcheggio di Capo S.Andrea.", "id": 2, "imageGallery": [ { "src": "http://api.webmapp.it/elba/media/image2019/Geo_02_Img_01.jpg", "caption": "prova caption 1" }, { "src": "http://api.webmapp.it/elba/media/image2019/Geo_02_Img_02.jpg", "caption": "prova caption 2" } ], "img": "http://api.webmapp.it/elba/media/image2019/Geo_02_Img_01.jpg", "name": "Il Plutone Del Monte Capanne (Affioramento Orientale)" }, "type": "Feature" }, { "geometry": { "coordinates": [ 10.235120672728698, 42.788972949822394 ], "type": "Point" }, "properties": { "body": "
Da Portoferraio si prende la strada in direzione Procchio. Arrivati a Procchio si devia per la strada litoranea panoramica per Marciana Marina. Dopo poco più di un km appena entrati nell'abitato di Spartaia si prende una strada a destra in discesa. Raggiungiamo l'area di parcheggio della spiaggia di Spartaia. Lungo la strada, di fronte all’ Hotel Désirée, si nota il contatto intrusivo tra il monzogranito del Monte Capanne con dicchi leucogranitici e le rocce incassanti termometamorfiche qui rappresentate da strati quarzitici derivanti dalla ricristallizzazione dei Diaspri di Monte Alpe della successione ofiolitica. Arrivati al parcheggio prendiamo un sentiero lungo la scogliera della parte occidentale della baia di Spartaia (a sinistra dell’Hotel) dove affiorano marmi con intercalazioni di metapeliti. Queste rocce sono tagliate da filoni leucogranitici. In pochi minuti si raggiunge un taglio di cava caratterizzato da marmi e calcescisti polideformati in forma di pieghe metriche/decametriche (Fig. 1). Queste rocce metacarbonatiche sono correlabili ai Calcari a Calpionella della successione ofiolitica. Queste rocce sono tagliate da un dicco biancastro del Porfido di spessore metrico che appare ricristallizzato e foliato come le rocce carbonatiche incassanti. La caratteristica strutturale principale di questo affioramento è rappresentata dalle pieghe metriche/ decametriche, di tipo da serrato ad isoclinale che sono caratterizzate da una scistosità di piano assiale (S2 in Fig. 1), da zonale a discreta, e spaziata alla scala da millimetrica a centimetrica.
Gli assi delle pieghe sono orientati da NE-SW a NNW-SSE con una immersione verso SW o N, mentre i piani assiali immergono a NW. Queste pieghe deformato una precedente stratificazione metamorfica che corrisponde alle partizioni litologiche.
Sono osservabili raramente anche cerniere sdradicate di strutture plicative più antiche. Nella parte superiore dell’affioramento, il dicco biancastro del Porfido di Portoferrario tagli vistosamente la stratificazione delle rocce marmoree, ma risulta ricristallizzato e scistosato come quest’ultime. Infatti, la S2 attraversa il contatto piegato tra porfido e marmi (Fig. 2).
Nelle rocce ricristallizzate marmoree sono presenti tipiche associazioni mineralogiche metamorfiche di \"contatto\" ovvero termometamorfiche. In particolare: nei metacarbonati sono presenti wollastonite, plagioclasio calcico, clinopirosseno diopsidico, granato grossularitico, vesuvianite, scapolite, K-feldspato; nelle metapeliti: biotite, plagioclasio intermedio-calcico, cordierite, andalusite e k-feldspati). Queste associazioni sono caratteristiche della cosidetta Facies a pirosseno delle Cornubianiti che è coerente con la vicinanza del corpo plutonico Monte Capanne con picchi di temperatura di 600 ° -700 ° C a pressioni di circa 2kbar (Barberi & Innocenti, 1965; Dini et al., 2002; Rossetti et al., 2007; Pandeli et al., 2013, 2016). Le rocce marmoree sono inoltre attraversate da fratture spaziate alla scala centimetrica/decimetrica che sono riempite da minerali di alta temperatura (vesuvianite, grossularia wollastonite) e idrotermali (ad esempio epidoto, quarzo).I dati suggeriscono che il piegamento delle rocce marmoree si è verificato dopo l'intrusione del Porfido di Portoferraio ed è verosimilmente collegato alla intrusione \"forzata\" del plutone magmatico del Monte Capanne, che ha prodotto non solo il termometamorfismo di queste rocce, ma anche la loro deformazione. Da Marciana Marina si prosegue per Marciana e quindi sempre sulla strada panoramica verso ovest per la Zanca. Da qui si scende verso la costa raggiungendo il parcheggio di Capo Sant’Andrea. Si prende il sentiero verso ovest che costeggia il mare raggiungendo il Capo Sant’Andrea ove la costa si fa meno acclive (Fig. 1). Lungo il sentiero e a Capo Sant’Andrea affiora il plutone di M. Capanne.
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La successione della Subunità Volterraio è la più completa (con la subunità Monte Serra, più a N) e spessa delle sei subunità dell’Unità ofiolitica Monte Strega e comprende Gabbri (Giurassico medio p.p.), Basalti (Calloviano p.p.-Oxfordiano inferiore), Formazione di Nisportino (Berriasiano) e Calcare a Calpionelle (Berriasiano terminale-Hauteriviano p.p.) (Bortolotti et al., 2001, 2015; Principi et al., 2015). I basalti dell’affioramento si trovano quasi al tetto della formazione, vicini quindi ai sovrastanti Diaspri di Monte Alpe. Si tratta di Basalti con struttura a cuscini, (detti più comunemente pillow), come praticamente quasi tutti i basalti dell’isola; piuttosto scarse sono infatti le colate massicce.
I pillow (Fig. 1) sono strutture più o meno rotondeggianti, raramente tubolari, di dimensioni massime poco superiori al metro, con forma a castagna rovesciata, sovrapposte in modo che il picciolo di quelle soprastanti si insinua tra i \"dorsi\" di quelle sottostanti e sono la struttura tipica dei basalti effusi sui fondali oceanici specie se con morfologia mossa, quando la colata, non abbondante, si solidifica in superficie formando una crosta vetrosa. Il fuso caldo interno rompe la crosta lasciando uscire getti di lava che solidificano subito all’esterno e rotolano formando delle \"sfere\" di lava coperte da una parte superficiale solidificata e si accumulano ai piedi del pendio, dove si adattano alla forma dell’accumulo sottostante, schiacciandosi leggermente e formando i pillow. Un peduncolo si forma normalmente alla base, tra i pillow sottostanti. Ritornando alcune decine di metri indietro sulla strada, si prende una mulattiera in salita con altri affioramenti di pillow lava ove si notano altre tipiche strutture.
Talora il pillow si svuota parzialmente dando origine a delle cavità piatte (pillow shelf) vuote o riempite dai sedimenti marini silicei che possono depositarsi tra una colata e la successiva (Fig. 2). I pillow tubolari rappresentano i canali lungo cui scorreva il magma. La posizione dei peduncoli e i rari pillow shelf danno una sicura indicazione della giacitura originaria, indicando grossolanamente l’orizzontale; in questo affioramento i peduncoli, e soprattutto un pillow shelf indicano un’inclinazione di una trentina di gradi verso SO.
La superficie esterna dei pillow si mostra molto fratturata e costituita da una pasta vetrosa trasformata principalmente in clorite. Sono riconoscibili anche strutture variolitiche (piccole escrescenze a forma tondeggiante o anulare, Fig. 3) dovute alla lenta ricristallizzazione del vetro superficiale del pillow in plagioclasio, e successivamente alterate in zeoliti I basalti mostrano infatti un’alterazione oceanica, caratterizzata da cristallizzazione di clorite, albite, actinolite e pumpellyite. Duplice può essere la tessitura interna:
a) afirica, con struttura ofitica o subofitica: plagioclasio idiomorfo, trasformato generalmente in albite + epidoto o sericite, clinopirosseno allotriomorfo, generalmente cloritizzato e talora anfibolitizzato;
b) porfiritica: fenocristalli di plagioclasio idiomorfi o subidiomorfi, massa di fondo con struttura ofitica o subofitica con plagioclasio, clinopirosseno e scarsi ossidi di ferro.
Le analisi petrologiche e geochimiche mostrano affinità N-MORB (normal middle-ocean basalts). Il leggero impoverimento in terre rare pesanti rispetto a quelle intermedie viene interpretano (Montanini et al., 2008 e Saccani et al., 2008) come dovuto ad una genesi dei magmi primari nella zona di transizione oceano-continente.
Da Portoferraio si prende la strada per Bagnaia e, prima di raggiungerla, si volta a destra per la strada del Volterraio che porta a Rio dell’Elba. Arrivati presso il castello, oltre la strettoia tagliata nei basalti a cuscino, si apre sulla sinistra un bel panorama verso Portoferraio. Si procede per qualche centinaio di metri fino allo Stop.
Nel pendio verso il mare, la morfologia ci evidenzia la zona di contatto tra i basalti e i Diaspri di Monte Alpe, che affiorano in tratti rocciosi (Fig. 1). I Diaspri di Monte Alpe passano verso l’alto (vedi linea tratteggiata superiore celeste) alle formazioni più alte della Successione del M. Strega, ovvero la Formazione di Nisportino e i Calcari a Calpionelle. Sullo sfondo, oltre il Golfo di Portoferraio, si apre la visione sul Monte Capanne che domina la geologia e la morfologia dell’Elba occidentale.
Da Portoferraio si prende la strada per Porto Azzurro. Dopo 7,5 km, poco oltre il Golf dell’Acquabona, in corrispondenza di Casa Marchetti si gira a sinistra per la strada sterrata della miniera del Buraccio; dopo circa 7 chilometri si prende, leggermente a destra, una sterrata più stretta che passa sotto Monte Castello e, dopo poco meno di tre chilometri, si parcheggia alle sue pendici nord sullo spiazzo pianeggiante a sinistra che segna il crinale Monte Castello - Cima del Monte. Da qui si gode anche la vista di Porto Azzurro in basso a S.
In questa zona affiora una porzione della copertura sedimentaria della Subunità Volterraio (Unità ofiolitica Monte Strega) e una faglia normale, entro la cui breccia (gouge) si intrude un filone shoshonitico.
Alla successione della subunità mancano infatti oltre ai termini inferiori, dal basso: Gabbri (Giurassico medio p.p.) e Basalti (Calloviano p.p.-Oxfordiano inferiore), i termini più alti: Calcari a Calpionelle (Berriasiano terminale-Hauteriviano p.p.) e Scisti a Palombini (Hauteriviano p.p.-Cenomaniano?) Sono quindi presenti i Diaspri di Monte Alpe, che si sono deposti al tetto dei basalti, e la sovrastante Formazione di Nisportino, che costituisce la transizione ai Calcari a Calpionelle.
Diaspri di Monte Alpe (Calloviano?inferiore-Berriasiano p.p.)
La formazione è costituita da strati di radiolariti rosse, o più raramente verdastre, generalmente laminate, regolarmente alternate a diaspri argillosi rossi, porcellaniti siltose e argilliti rosse più o meno silicee. La stratificazione è sempre sottile. Verso l’alto le radiolariti diminuiscono e cresce la porzione argillitica. Le radiolariti rosse sono ricche in radiolari ben conservati che ne hanno permrsso una datazione abbastanza precisa. L’ambiente di deposizione è pelagico, in un’area oceanica al di sotto del CCD.
Formazione di Nisportino (Berriasiano)
La formazione è costituita da tre sezioni, dal basso: a- un livello spesso in generale 20-30 metri che consiste in un’alternanza di calcari selciferi grigi o verdastri, intercalati ad abbondanti argilliti e siltiti rossastre; alla base ancora qualche strato diasprino. L’età, in base ai nannofossili e calpionellidi presenti è Berriasiano inferiore; b- un bancone (denominato Membro della Rivercina\"), spesso da 15 a 30 metri di calcilutiti marnose grigie con frattura a saponetta. I nannofossili presenti hanno dato come età il Berriasiano medio/superiore; c- un livello spesso molte decine di metri che alla base è costituito da argilliti rossastre con rari calcari silicei, più in alto i calcari grigi e rossstri diventano prevalenti. Il tetto, al contatto con i Calcari a Calpionelle, è costituito da un bancone plurimetrico di argilliti marnoso-siltose. L’età, in base ai nannofossili presenti è Berriasiano terminale.
Subito prima di parcheggiare si può osservare a sinistra (O-NO), oltre il torrentello (Fig. 1), un’anticlinale pluri-ettometrica, aperta, con asse circa NO quasi verticale, ma con leggera pendenza verso E, che interessa la Formazione di Nisportino. Spettacolare è il fianco orientale dove si osservano le pieghe parassite (drag folds), evidenziate dalle differenze litologiche della formazione.
La maggior parte del nucleo della piega è formato dal suo membro delle Marne della Rivercina mentre ai fianchi compaiono alternanze tra calcari e siltiti rossastre della sezione sommitale, che preludono al passaggio ai Calcari a Calpionelle visibili in lontananza verso NO. Guardando verso E si vedono le creste diasprine del Monte Castello.
Lasciata l’auto, scendiamo a piedi qualche decina di metri verso una piccola punta rocciosa formata dai Diaspri di Monte Alpe, e ci fermiamo davanti a questo affioramento. Ci troviamo qui lungo una faglia normale ad alto angolo, Faglia di Monte Castello, che fa parte di un sistema di faglie normali ad alto angolo con andamento NE-SO che interessano solamente l’Unità ofiolitica Monte Strega e disegnano a N il Graben di Cima del Monte, interrotto a NE dalla Faglia di trasferimento sinistra di Cima del Monte. Le due faglie principali sono, a S la faglia di Monte Castello immersa a NO e a N quella dell’Acqua Cavalla immersa a SE. La Faglia di Monte Castello delimita a SE la porzione ribassata del graben e mette a contatto i Diaspri di Monte Alpe fortemente spiegazzati, a S, con una serie di pieghe da decametriche ad ettometriche con asse circa NS, costituite dalla Formazione di Nisportino con al nucleo i Diaspri di Monte Alpe, a N.
Si può qui osservare lo specchio di faglia, su cui si sono formate numerose striature ad andamento verticale (dip-slip) che indicano il movimento della faglia, in questo caso un ribassamento verso NO.
Nella zona di faglia si è formata breccia di faglia (gouge), larga anche qualche metro, formata essenzialmente da elementi diasprini, con frammenti dei vari litotipi della Formazione di Nisportino. Possiamo osservare un filone di una roccia porfirica grigio scura e bruna ricca in fenocristall, che intrude, con assetto indeformato la breccia tettonica della Faglia di Monte Castello e prosegue poi verso N (con una leggera inclinazione verso O) attraversando le litologie marnoso-siltose della formazione di Nisportino. Questo filone (Filone di Monte Castello) è seguibile fino alla Faglia dell’Acquacavalla, entro cui sembra scomparire. Si tratta di un filone (Bortolotti et al., 2001, 2015; Conticelli et al., 2001; Principi et al. 2015) spesso da pochi a circa 140 centimetri che mostra una tessitura porfiritica (Fig. 2) con fenocristalli di plagioclasio labradoritico-bitownitico, clinopirosseno augitico, olivina, e scarsi xenocristalli di K-feldspato (oligoclasio) di dimensioni fino a 10 cm. Per l’intensa alterazione i minerali originari sono spesso sostituiti da minerali secondari: in qualche caso clinopirosseno e plagioclasio sono ancora preservati, mentre l’olivina è sempre sostituita da aggregati di smectite (non è quindi analizzabile) entro cui si osservano inclusioni di clinopirosseno diopsidico e Mg-cromite. La massa di fondo è costituita da clinopirosseno, K-feldspato, plagioclasio, magnetite ed apatite.
La composizione della roccia totale indica che il magma d’origine, con sorgente nel mantello superiore, era shoshonitico, con chiara affinità alcalino-potassica. Questi dati aggiunti a quelli sugli elementi in tracce indica che questo filone appartiene alla serie potassica Plio-Pleistocenica italiana e assomiglia fortemente alle rocce dell’Isola di Capraia e della Toscana meridionale (Peccerillo et al., 1987; Westerman et al, 1994). La sua composizone indica altresì che ha attraversato, senza evidenti contaminazioni, un corpo monzogranitico che gli ha ceduto i grandi xenoliti. La loro presenza e la mancanza di paragensi di reazione indica chiaramente che il filone ha attraversato il monzogranito, molto probabilmente il Monzogtanito di Porto Azzurro, dopo il suo raffreddamento.
Una datazione radiometrica col metodo 39Ar/40Ar (Conticelli et al., 2001) ha fornito un’età di cristallizzazione di 5,83±0,14 Ma, che corrisponde al Messiniano superiore, età dell’ultimo evento del complesso magmatico dell’Elba orientale, il plutone di Porto Azzurro (circa 5,9 Ma), cui il filone sembra legato.
Risalendo verso il crinale si può osservare sul terreno il filone e i suoi rapporti con i vari termini della Formazione di Nisportino. Si torna così al luogo di parcheggio. In sintesi in quest’area sono ben visibili gli effetti di due tipi di deformazione della copertura sedimentaria giurassico-cretacea della Unità ofiolitica Monte Strega:
a) deformazione plicativa, più antica, che ha formato strutture anticlinaliche e sinclinaliche ad andamento N-NO/S-SE, quasi verticali ma con leggera vergenza verso E;
b) più recente, distensiva, che si struttura in una serie di faglie ad andamento NE-SO che disegnano un piccolo graben (Graben di Monte Castello) di cui le faglie di Monte Castello e quella antitetica ad O dell’Acquacavalla delimitano il blocco ribassato, (Bortolotti et al., 2001, 2015; Principi et al. 2015).
A NE queste faglie si interrompono contro una linea trascorrente sinistra NO-SE, la Faglia di Cima del Monte, a SO sembrano scomparire sotto la Faglia normale a basso angolo dell’Elba Centrale (fig 1), che sarebbe quindi più antica, e lungo cui sembra essersi prodotto, a causa del sollevamento del Monte Capanne (età isotopica circa 6,9 Ma), uno scivolamento delle Unità Lacona e Ripanera verso E, fino ad accavallarsi sull’Unità ofiolitica Monte Strega.
È possibile a questo punto ricavare una cronologia relativa degli eventi che hanno interessato la zona:
1- L’evento più antico, compressivo, ha causato il piegamento dell’Unità Monte Strega. L’età è qui non definibile ma si deve supporre compresa tra l’età più giovane delle rocce interessate dal piegamento (qui il Cretaceo degli Scisti a Palombini, ma poco più ad O l’Eocene medio dell’Unità Lacona) e l’età delle Faglie di Monte Castello e dell’Acqua Cavalla, la prima delle quali ha una breccia di faglia intrusa da un filone del Messiniano superiore: l’intervallo di tempo disponibile,dai dati qui disponibiliva quindi dall’Eocene medio/?superiore a prima del Messiniano superiore.
2- Una fase distensiva con la formazione del Graben di Monte Castello, prima del Messiniano superiore (età della messa in posto del plutone di Porto Azzurro cui il filone sembra essere collegato), e probabilmente abbastanza precedente. Se la Faglia dell’Elba Centrale è legata al sollevamento del plutone di Monte Capanne (età isotopica circa 6,9 Ma, Messiniano inferiore) potrebbe essere anche più vecchio del plutone stesso, ed entrare nel Tortoniano.
3- Seguono due eventi cui non possiamo dare un ordine di precedenza:
3a- la formazione della Faglia di trasferimento di Cima del Monte, che interrompe il Graben
3b- l’intrusione del filone (età isotopica 5,83 Ma, Messiniano superiore).
Successivamente, ma solamente più ad E, si trova un sistema di faglie normali ad alto angolo. ad andamento N-S (databile tra 5,4 e 4,8 Ma) che rappresenta l’ultimo evento tettonico nell’Isola d'Elba.
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In questa zona (Fig. 1) affiora il contatto tra l’Unità Porto Azzurro e le unità sovrastanti embricate (Unità Acquadolce e Unità Monticiano-Roccastrada) tramite la Faglia di Zuccale. Sul promontorio affiorano le rocce polimetamorfiche dell’Unità Porto Azzurro intruse da filoni magmatici di colore chiaro (Fig. 1).
Complesso di Monte Calamita
La formazione è costituita da filladi quarzitici e micascisti polideformate di colore grigio e grigio-verdastro il cui protolito è probabilmente di età Paleozoica (Puxeddu et al, 1984; . Pandeli et al., 1994; Garfagnoli et al., 2005) (Fig. 2).
La scistosità principale di queste rocce è verosimilmente di età Alpina (27-30 Ma) ed è fortemente interessata dalla cristallizzazione tardiva di minerali termometamorfici statici (per esempio biotite e andalusite) causati dalla intrusione del plutone monzogranitico di Porto Azzurro (5,9 Ma l’età radiometrica: Borsi e Ferrara, 1971; Saupe et al, 1982; Ferrara e Tonarini,.1985; 1993; Maineri et al., 2003), che affiora ovest di questa zona (spiaggia di Barbarossa). Queste rocce non mostrano qui evidenze di mineralizzazioni a ferro e sono tagliate da filoni magmatici biancastri di spessore da centimetrico a decimetrico e di composizione aplitica (con quarzo, K-feldspati e tormalina nera) che appartengono allo sciame filoniano della intrusione del plutone monzogranitico di Porto Azzurro. In particolare il quadro strutturale delle rocce del Complesso di Monte Calamita è caratterizzato alla mesoscala da piegamenti (F2) di tipo serrato fino ad isoclinale di dimensioni centimetriche/decimetriche che presentano un piano assiale a bassa inclinazione e che deformano la scistosità principale S1 di tipo continuo. Queste pieghe sono poi state deformate da altre (F3) di tipo da aperto a chiuso alla scala metrica/decametrica e con piano assiale generalmente sub-verticale. Alle pieghe F2 è associato un clivaggio di crenulazione, mentre alle F3 è legato un clivaggio di frattura. Raramente sono riconoscibili relitti di pieghe isoclinali D1 di taglia centimetrica. Le F3 sono infine tagliate dai dicchi aplitici. Queste rocce vengono a contatto superiormente con un orizzonte cataclastico mineralizzato di colore ocraceo. È evidente che tutte le strutture del Complesso di Monte Calamita (dicchi aplitici inclusi) si interrompono bruscamente contro questa superficie (Fig. 3). La superficie di contatto immerge a basso angolo verso O/NO.
Guardando al Nord, possiamo vedere una bella vista dell’area mineraria del Lago di Terranera.
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Questo è un orizzonte di circa 10 m di spessore di colore ocra giallastro, costituito da una breccia poligenica spesso foliata. I suoi clasti (da millimetrici fino a 10-15 cm) derivano in gran parte dal sottostante Complesso di Monte Calamita e dalla sovrastante Unità Monticiano-Roccastrada (ad es. le filladi nere grafitose della Formazione di Rio Marina e le filladi cloritiche verdastre dell’Unità Acquadolce). I clasti angolari/subangolari sono generalmente allineati lungo la foliazione (Fig. 2) che è localmente interessata da piegamenti a scala decimetrica/metrica di tipo da asimmetrico a rovesciato. La Formazione di Rio Marina di età Carbonifero-Permiana, appartenente all’Unità Monticiano-Roccastrada, poggia tettonicamente sull’orizzonte cataclastico. Questa formazione comprende filladi grafitose nere con intercalazioni di metasiltiti quarzitiche e metarenarie grigi localmente con sovraimpressioni di biotite o macchie andalusite termometamorfiche.
Da Porto Azzurro si prende la strada per Rio Marina. Dopo 2,5 km si gira a destra per la Spiaggia di Reale. Si parcheggia nelle adiacenze del Campeggio. Si prende il sentiero verso est costeggiando la costa fino ad arrivare sulla parte nord-occidentale del promontorio ove esiste ancora un ripiano con un manufatto in cemento da cui si apre il panorama sull’area mineraria di Terra Nera e sull’omonimo laghetto. Dalla scogliera del promontorio scendiamo sulla spiaggia detta Spiagge Nere dove la breccia tettonica è ben esposta lungo la scarpata a monte della spiaggia.
Qui la breccia visibilmente foliata include anche molti clasti carbonatico-marmorei e di serpentiniti foliate più o meno cloritiche in una matrice filladico-carbonatica dominante (Fig. 2).
Scaglie tettoniche metriche/decametriche costituite da alternanze di marmi biancastri a giallastri, e calcescisti grigio-biancastro sono localmente presenti all’interno dell’orizzonte cataclastico. Queste rocce carbonatico-marmoree probabilmente appartengono alle rocce mesozoiche sommitali dell’Unità Porto Azzurro o all’Unità Acquadolce (litofacies dei Marmi della Valdana e dei calcescisti). Le osservazioni al microscopio rivelano l’assenza di blastesi lungo la foliazione pervasiva della matrice della cataclasite, indicando che tutti gli eventi metamorfici (incluso il termometamorfismo) precede quello cataclastico. Questi dati indicano una natura \"fredda\" di questo orizzonte cataclastico, che si è formato dopo l’intrusione del plutone di Porto Azzurro, possibilmente in un ambiente ricco di fluido (vedi anche Collettini et al., 2006a, 2006b). Diversi indicatori cinematici (pieghe asimmetriche, clasti tipo \"mantled\" intrafoliari o faulted, etc.) mostrano un senso di taglio o di trasporto tettonico tipo \"top a NE\" o \"top a SO\". Il senso opposto di taglio potrebbe suggerire un utilizzo ripetuto di questo orizzonte cataclastico durante le ultime fasi di messa in posto delle unità dell’Elba orientale. Infine, in questo affioramento, la foliazione appare delicatamente piegata da un evento deformativo successivo. Il promontorio, che chiude a nord Spiagge Nere, è costituito ancora dal Complesso di Monte Calamita. Il contatto con il soprastante orizzonte cataclastico presenta una forma a duomo probabilmente dovuta ai piegamenti tardivi. L’orizzonte cataclastico scompare verso nord al di sotto delle quarziti e delle filladi bianco-perlacee e verdi del \"Gruppo del Verrucano\" Triassico (stratigraficamente soprastante la Formazione di Rio Marina). Queste rocce triassiche rappresentano il nucleo di una piega sinclinale dell’Unità Monticiano-Roccastrada.
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Raggiungiamo la parte orientale della spiaggia di fronte al laghetto di Terranera (Fig. 2). Proseguiamo verso est fino a raggiungere un affioramento roccioso di colore scuro ricco in mineralizzazioni.
Stop 4 -Mineralizzazioni a ferro della zona Terranera
Qui le filladi grafitose della Formazione di Rio Marina sono tagliate da fratture e faglie, con orientazione circa meridiana (da N320 a N360) e in gran parte riempite da mineralizzazioni ad ematite ± quarzo ± adularia (Fig. 3). Ancora più verso est, al di là della faglia principale sub-verticale mineralizzata, affiora il contatto tra la Formazione di Rio Marina e la sottostante Unità Acquadolce con al tetto serpentiniti alterati in talcoscisti che riposano su filladi cloritiche e metarenarie (Fig. 1).
I lavori minerari a Terranera, iniziati nel 18° secolo, si sono conclusi circa 30 anni fa. Essi sono stati in parte eseguiti come scavi a cielo aperto nell’ area ora occupata dal lago di Terranera che è alimentato da acque dolci e marine. I corpi minerari coltivati consistevano in lenti di Fe ossidi (ematite con magnetite subordinata) e pirite posizionati al contatto tra la Formazione di Rio Marina e il sovrastante Verrucano o lungo la faglia suddetta. La porzione superiore del giacimento era prevalentemente costituita da masse limonitiche, derivati dall\"alterazione esogena della pirite. In accordo con Lotti (1886) il giacimento a ferro è esteso anche al di sotto della Faglia di Zuccale che qui separa la Formazione di Rio Marina dal sottostante Complesso di Monte Calamita.
I processi minerogenetici che portano alla lo sviluppo dei giacimenti a ferro dell’Isola d’Elba attendono di ancora essere meglio definiti (vedi Tanelli et al., 2001). Ricerche in corso dovrebbero risolvere i diversi problemi, tra i quali il predominio dell'ematite sulla magnetite (che è la fase a ferro dominante tra Rio Marina e Terranera) e le relazioni con i giacimenti a skarn (affioranti, ad esempio, presso la vicina località di Punta delle Cannelle e diffusi nella parte meridionale e sud-orientale del Promontorio di M. Calamita).
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Da Portoferraio si prende la strada per Procchio. Superato il passo e il Bivio per Scaglieri-Biodola, la strada discende fino ad arrivare ad un punto di sosta panoramico a monte della Località Campo all’ Aia con vista sul Golfo di Procchio e sul M.Capanne.
Nella piazzola della sosta panoramica si volge la vista verso occidente. La parte occidentale dell’ Isola d’Elba è dominata dal Monte Capanne che è costituito da un corpo magmatico monzogranitico di 6.9 Ma che è esteso per circa 45Km2 con un diametro di circa 10 Km e alto 1017 m s.l.m. (Fig. 1; vedi anche il Geosito Capo S.Andrea). Lungo le sue pendici, è esposta parte della aureola metamorfica di contatto, ovvero le rocce incassanti in cui si è intruso il granitoide (Unità Punta - Fetovaia della carta geologica, vedi anche Fig. 1). Questa è per lo più costituita da una successione ofiolitica metamorfica, ovvero l’ Unità Punta Polveraia-Fetovaia (non molto diversa dalla Unità del M.Strega non metamorfica esposta nell’ Isola d’Elba centrale ed orientale) che è i suoi migliori affioramenti nelle aree di Procchio-Spartaia-Isola Paolina (vedi Geosito Spartaia), Marciana Marina-Marciana, Chiessi-Colle di Orano, Pomonte-Fetovaia, Cavoli-Colle di Palombaia, S.Piero-S.Ilario-Marmi. Queste rocce sono state intruse prima dell’ evento termometamorfico da un complesso complesso magmatico a dicchi e laccoliti (es. l’ Aplite di Capo Bianco, Porfido di Portoferraio, Porfido di S.Martino), di età 8.4-7.3 Ma, che ha subito assieme alle rocce ofiolitiche incassanti i fenomeni deformativi e metamofici legati all’ intrusione del Monzogranito del M.Capanne. Lungo tutto il fianco orientale del M.Capanne è inoltre evidente una faglia normale ad alto angolo suddivisa in diversi segmenti ed inclinata verso est (faglia di Colle Palombaia-S.Piero-S.Ilario-Procchio, vedi Fig. 1) che mette a contatto le rocce non metamorfiche dell’ Unità di Ripa Nera (ex Unità di flysch Cretaceo) con la successione ofiolitica metamorfica dell’ anello del M.Capanne, ovvero con l’Unità Punta Polveraia-Punta Fetovaia.
Dalla piazzola panoramica si attraversa la strada dove, nella scarpata a monte, sono esposte rocce stratificate calcareo-marnose tipiche della Formazione di Marina di Campo
- Affioramento della Formazione di Marina di Campo (Unità di Ripa Nera)
Si tratta di una successione stratificata essenzialmente calcareo-marnosa di ambiente pelagico che include microfossili marini planctonici (foraminiferi e nannoplancton) del Cretaceo superiore.
In particolare l’ affioramento è caratterizzato dall'alternanza dei seguenti litotipi:
- Calcari marnosi grigio scuri, ocracei per alterazione
- Arenarie quarzoso-feldspatico-micacee grigie, spesso calcaree, a granulometria generalmente da fine a medio/grossolana principali e in genere granulometricamente gradate verticalmente
- calcareniti e biocalcareniti (ricche in microfossili) grigie spesso gradate e passanti in alto a calcari marnosi/marne con spessori fino a diversi metri (massimo 6 m).
Questi litotipi sono separati da intercalazioni di marne, siltiti e argilliti.
Queste rocce sono intruse da filoni magmatici del Porfido di S. Martino di età 7.4 Ma. I corpi filoniani sono di colore da grigio a bianco, fino a bruno rossastro, a composizione monzogranitica e a tessitura fortemente porfirica, caratterizzati da abbondanti megacristalli K-feldspato, prevalenti su fenocristalli di quarzo spesso euedrale, plagioclasio zonato e biotite. Nelle analisi microscopiche, tra i minerali accessori si rinvengono comunemente zircone, apatite, monazite e tormalina. Comuni sono anche i fenomeni di alterazione idrotermale che sbiancano particolarmente i litotipi sedimentari incassanti.
Fig. 1 – Schema geologico dell’Isola d’Elba occidentale
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Si ritorna quindi verso Rio Elba per circa 200m fino al bivio (sulla sinistra) della stradella che scende al cimitero di Rio Marina. Si osservano gli affioramenti lungo la strada per Rio Elba.
Nella scarpata occidentale della strada è esposto un affioramento di brecce calcaree vacuolari ad aspetto massiccio (Brecce di Rialbano della Carta Geologica, ovvero Calcare Cavernoso Auctt.) sui quali si sovrappongono rocce metamorfiche visibilmente foliate (Formazione di Cavo dell’Unità Grassera) (Fig. 1).
Fig. 1 - La superficie di sovrascorrimento tettonico (thrust de La Parata in Bortolotti et al., 2001a) tra le Brecce di Rialbano (ex “Calcare cavernoso”) (CV) della Falda Toscana e il soprastante membro dei Calcescisti della Formazione di Cavo (CM) appartenente all’ Unità Grassera
La Formazione di Cavo è qui rappresentata da calcescisti scistosi polideformati di colore marrone-grigio non fossiliferi (Membro dei calcescisti alla base della Formazione di Cavo di età probabilmente cretaceo-terziaria). Nei calcescisti si possono notare più superfici di scistosità che si intersecano vicendevolmente e piccole strutture a piega di dimensioni centimetriche/decimetriche che dimostrano la presenza di più eventi metamorfici-tettonici che hanno interessato queste rocce.
Più a sud del Geosito 1 (vedi segnalazioni turtistiche in loco) fiorì, da almeno il XIII fino al XVI secolo, l'affascinante villaggio minerario medioevale di Gràssera, distrutto dal terribile pirata Khayr al Din (Barbarossa) nel 1534. I Grasserinchi sopravvissuti si rifugiarono nel vicino paese di Rio nell'Elba. Gli unici resti sono le rovine della chiesa di San Quirico, immediatamente a sinistra della strada e l'acquedotto sotterraneo (Fig. 2).
Fig. 2 – Ruderi della Chiesa di S.Quirico a Grassera
Le sottostanti Brecce di Rialbano (Calcare Cavernoso) si presentano invece come una roccia massiccia. Si tratta di brecce da clasto- a matrice-sostenute, massive e di regola vacuolari, con scarso legante spatico microcristallino. I clasti sono di calcari più o meno dolomitici, talvolta saccaroidi, di colore variabile dal grigio scuro al grigio chiaro, biancastro o rosato (per la presenza di microcristalli di ossidi di Fe). I vacuoli, da millimetrici a centimetrici, hanno forma irregolare. In aree di limitata estensione la roccia può presentarsi intensamente fratturata, con i frammenti di dimensione fino a submillimetrica, fino ad apparire completamente polverizzata. Talvolta questa polvere dolomitica fatta di piccoli cristalli (nota volgarmente come cenerone) può riempire parzialmente i vacuoli o accumularsi alla base dell’affioramento roccioso.
Questi caratteri sono indicativi di un’origine tettonica delle brecce, originate dalla fratturazione meccanica di una formazione carbonatica rigida, identificabile con la sovrastante Formazione della Pania di Corfino (presente come termine basale della Falda Toscana nell’ area di Cavo, vedi carta geologica). Questo processo di fratturazione (fenomeno cataclastico) è pertanto verosimilmente legato alla messa in posto per sovrascorrimento della Falda Toscana (che qui come più a sud fino all’ area di Porto Azzurro è completamente assente per laminazione tettonica) sull’Unità Monticiano-Roccastrada. In varie località di affioramento nell’ isola d’Elba orientale (es. presso Rio Marina, valle di Ortano) queste rocce sono state sottoposte a carsismo ed in queste nuove cavità sono stati riconosciuti anche frammenti di marne e calcari marnosi debolmente metamorfici, probabilmente provenienti dalla sovrastante Unità Gràssera e strutture sedimentarie di origine carsica (principalmente tasche con riempimenti di silt calcitici talora laminati).
Non sono stati osservati fossili né nei clasti né nella matrice, ma si può ipotizzare un’età del Triassico superiore per la roccia carbonatica originaria, che presenta i caratteri della Formazione della Pania di Corfino. L’età della breccia è da ritenersi miocenica e successivamente (Quaternario p.p.) è stata interessata dai fenomeni carsici.
Ritornando al punto di sosta panoramico si volga lo sguardo verso oriente, ovvero verso il mare
- Panorama sulle aree minerarie di Rio Marina.
Da qui possiamo godere uno spettacolare panorama sulle miniere di Rio Marina (in primo piano, la miniera di Valle Giove) e sul Monte Torre del Giove con i ruderi della vecchia torre (seconda metà del 1400) alla sua sommità (Fig. 3).
Fig.3 – Il Monte Torre del Giove e la sottostante area mineraria di Valle Giove
Il Monte Torre del Giove è costituito interamente dalle rocce della parte superiore del Verrucano triassico, ovvero dalla Formazione delle Quarziti di Monte Serra che appartengono alla successione metamorfica dell’ Unità Monticiano-Roccastrada. Sul fianco occidentale del monte si nota una discontinuità morfologica legata alla presenza di una faglia ad alto angolo (Faglia di Terranera) che mette in contatto verso ovest il Verrucano con le Brecce di Rialbano della Falda Toscana. Questa struttura tettonica (Faglia di Terranera) con orientazione circa N-S è chiaramente riconoscibile in tutta l'Elba orientale da Cavo fino all'area di Porto Azzurro (vedi carta geologica e Geositi della Valle di Ortano).
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Si ritorna quindi verso Rio Elba per circa 200m fino al bivio (sulla sinistra) della stradella che scende al cimitero di Rio Marina. Si osservano gli affioramenti lungo la strada per Rio Elba. Qui la strada de La Parata interseca un’altra importante faglia normale dell’edificio tettonico dell’Elba orientale, ovvero la faglia di S. Caterina che è già stata descritta nella Valle di Ortano.
Questa struttura fa parte del sistema di faglie normali ad alto angolo immergenti verso ovest che frammenta la pila tettonica dell'Elba orientale (vedi carta geologica) ponendo a contatto vari termini. In particolare, verso nord, abbassa l’Unità di M.Strega (qui rappresentata dalla Subunità di Monte Serra con Calcari a Calpionelle, Formazione di Nisportino e Diaspri di M.Alpe, e dalla sottostante Subunità Acquaviva costituita da Argille a Palombini, serpentiniti intensamente fratturate e rocce oficalcitiche, ovvero brecce con clasti serpentinitici, di varia pezzatura in abbondante legante carbonatico-serpentinitico, talora più o meno ematitizzato) rispetto all’ Unità Gràssera. Verso sud, la stessa struttura mette a contatto direttamente parte della successione dell’Unità di M.Strega (Subunità di Monte Serra) con le Brecce di Rialbano. Successivamente, la strada svolta aa occidente e attraversa vari affioramenti di brecce ofiolitiche con cemento calcitico (oficalciti).
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Per iniziare a vedere le rocce che costituiscono l’unità più profonda affiorante (Unità Ortano costituita da rocce metamorfiche non fossilifere di età Paleozoica ben esposte vedi colonna stratigrafica in Fig.2) si prosegue fino alle rovine di un pontile, poi verso sud lungo la scogliera quarzitica (sentiero) fino ad una frana.
Tutte queste rocce sono state correlate con le corrispondenti formazioni paleozoico inferiori affioranti nella Sardegna centrale (Puxeddu et alii, 1984; Pandeli & Puxeddu, 1990).
Questi sono costituiti da filladi, filladi quarzose e micascisti grigio-verdastro a marrone, con intercalazioni più quarzitiche. Questi litotipi includono tipiche vene di quarzo sin- e post-tettoniche e locali macchiettature di minerali termometamorfici locali (andalusite, cordierite) ed intercalazioni di filladi grafitose nerastre. Nelle aree circostanti (es. lungo la scogliera verso il Residence di Capo d’Arco), gli scisti di Capo d'Arco includono orizzonti lenticolari, da metrici a decametrici di quarziti biancastre e metaruditi quarzitiche grigio chiare. Guardando verso SE, si nota una evidente discontinuità morfologica nel prospiciente Isolotto d'Ortano che corrisponde al contatto tra un corpo quarzitico e gli Scisti di Capo d'Arco.
Fig. 1 - Schema geologico della Valle di Ortano
Fig. 2 - Colonna tettono-stratigrafica dell’Unità Ortano
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Per iniziare a vedere le rocce che costituiscono l’unità più profonda affiorante (Unità Ortano costituita da rocce metamorfiche non fossilifere di età Paleozoica ben esposte vedi colonna stratigrafica in Fig.2) si prosegue fino alle rovine di un pontile, poi verso sud lungo la scogliera quarzitica (sentiero) fino ad una frana.
Tutte queste rocce sono state correlate con le corrispondenti formazioni paleozoico inferiori affioranti nella Sardegna centrale (Puxeddu et alii, 1984; Pandeli & Puxeddu, 1990).
Queste rocce si presentano massicce o poco poco stratificate, con colori da grigio a brunastro. Si tratta di metavulcaniti caratterizzate da una tipica struttura occhiadina di taglia millimetrica (3-4 mm) dovuta alla presenza di cristalli (porfiroclasti) di quarzo e feldspato (sanidino). Nella parte centrale e superiore di questa unità sono presenti i livelli di quarziti e di filladi quarzitiche (scisti porfirici Auctt.) che corrispondono a metasedimenti ricchi in quarzo di origine vulcanica. Nei Porfiroidi sono comuni le vene post-tettoniche di clorite + quarzo + epidoto ± tremolite/actinolite.
Queste metavulcaniti possono essere attribuite ad un arco magmatico calc-alcalino di età Paleozoico inferiore (Pandeli et alii, 1994, cum bibl.). Musumeci et alii (2010) hanno recentemente confermato tale ipotesi con la datazione radiometrica degli zirconi (U-Pb, 470-450 Ma) contenuti all’ interno delle metavulcaniti e dei meta-sedimenti associati.
Fig. 1 - Schema geologico della Valle di Ortano
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Per iniziare a vedere le rocce che costituiscono l’unità più profonda affiorante (Unità Ortano costituita da rocce metamorfiche non fossilifere di età Paleozoica ben esposte vedi colonna stratigrafica in Fig.2) si prosegue fino alle rovine di un pontile, poi verso sud lungo la scogliera quarzitica (sentiero) fino ad una frana.
Tutte queste rocce sono state correlate con le corrispondenti formazioni paleozoico inferiori affioranti nella Sardegna centrale (Puxeddu et alii, 1984; Pandeli & Puxeddu, 1990).
Questi litotipi (Litofacies delle Quarziti e filladi nerastre della carta geologica) costituiscono un orizzonte metrico di alternanze di straterelli filladico-quarzitici e quarzitici di spessore centimetrico-decimetrico (max10-20 cm) e di colore da grigio scuro a nero. Queste rocce passano verso l'alto ad altre tipologie di rocce filladico-quarzitiche di colore più chiaro (Filladi e quarziti di Rio Ortano nella carta geologica).
- Filladi e quarziti di Rio Ortano (Ordoviciano superiore?)(d in Fig. 1). Si tratta di filladi lucenti di colore grigio argento con locali intercalazioni, da decimetriche a metriche, di strati quarzitici biancastri, e talora anche di metaconglomerati quarzosi. Questi litotipi sono localmente attraversati da vene di quarzo ± clorite.
Come detto in precedenza, nel suo insieme l’Unità Ortano ha forti analogie con la porzione medio-bassa del Basamento paleozoico delle Alpi Apuane (Pandeli et al., 1994) correlata con le successioni ordoviciane della Sardegna centrale (Nappe Zone Auctt., Pandeli e Puxeddu, 1990; Duranti et al., 1992) ed in particolare con i Porfiroidi e Scisti porfirici dell’ Ordoviciano medio, nonché con il soprastante complesso metasiliciclastico trasgressivo dell’ Ordoviciano superiore (caradociano).
D’altro canto, certe analogie tra gli Scisti di Capo d'Arco e le Filladi e metarenarie grigio-argento potrebbero far ipotizzare che queste possano costituire la stessa unità stratigrafica, ma ripetuta per cause tettoniche. In questa ipotesi l’Unità di Ortano nel suo complesso potrebbe rappresentare un megapiega rovesciata verso oriente e con i Porfiroidi al suo nucleo.
Fig. 1 - Schema geologico della Valle di Ortano
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Per iniziare a vedere le rocce che costituiscono l’unità più profonda affiorante (Unità Ortano costituita da rocce metamorfiche non fossilifere di età Paleozoica ben esposte vedi colonna stratigrafica in Fig.2) si prosegue fino alle rovine di un pontile, poi verso sud lungo la scogliera quarzitica (sentiero) fino ad una frana.
Tutte queste rocce sono state correlate con le corrispondenti formazioni paleozoico inferiori affioranti nella Sardegna centrale (Puxeddu et alii, 1984; Pandeli & Puxeddu, 1990).
Si osservano le rocce all’ ingresso della cava esposte subito a sinistra.
- Cataclasite Valdana. (Calcare Cavernoso o Calcare dolomitico vacuolare Auctt.) (e in Fig. 1). Questo corpo roccioso presenta uno spessore di 10-15 m ed è costituito da rocce calcaree di colore da grigio chiaro a giallastro, e risulta grossolanamente stratificato ed interessato da generalizzati fenomeni di ricristallizzazione che spesso obliterano le strutture precedenti. A livello locale è riconoscibile l’originaria struttura che è una breccia calcarea vacuolare, ben cementata con elementi di marmo e localmente anche di rare filladi (più frequenti nella parte inferiore). Sono stati riconosciuti anche orizzonti dolomitizzati. Sono frequenti ossidi di ferro e di pirite dispersi specie nella matrice carbonatica-micaceo-quarzitica della breccia. Questa unità è considerata da Bortolotti et al. (2001a) come una breccia tettonica (cataclasite) formata durante la sovrapposizione dell’Unità Acquadolce sull' Unità di Ortano.
A luoghi è evidente un'impronta termometamorfica con formazione di cristalli di clinopirosseno ± granato ± anfibolo. A nord della Valle di Ortano (es. la miniera a pirite ± pirrotite) sono presenti anche veri e propri corpi di skarn con hedenbergite ± ilvaite che spesso sono associati all’orizzonte cataclastico. Pertanto, questo orizzonte rappresentava una via di infiltrazione importante per i fluidi metasomatici e le mineralizzazioni a ferro come è evidente nelle zone a nord del Residence tra la Località Tignatoio e Porticciolo lungo lo stesso allineamento strutturale (vedi carta geologica).
Spostandosi verso la parete della cava:
- Marmo della Valdana (Marmo di Ortano Auctt., Cretaceo?) (f in Fig. 1). Questa unità presenta uno spessore di circa 15 m di spessore ed è costituita da marmi grigio-biancastri a tessitura saccaroide, da media a grossolana, con locali bande giallastre e orizzonti di marmo dolomitici. Possono essere presenti anche rari e discontinui livelli filladici di spessore millimetrico. La transizione con i sovrastanti Calcescisti è segnata da un’alternanza di marmo e calcescisti per circa 1 m di spessore. Lungo questo contatto sono localmente riconoscibili delle deformazioni tettoniche date da pieghe decimetriche.
Fig. 1 - Schema geologico della Valle di Ortano
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Per iniziare a vedere le rocce che costituiscono l’unità più profonda affiorante (Unità Ortano costituita da rocce metamorfiche non fossilifere di età Paleozoica ben esposte vedi colonna stratigrafica in Fig.2) si prosegue fino alle rovine di un pontile, poi verso sud lungo la scogliera quarzitica (sentiero) fino ad una frana.
Tutte queste rocce sono state correlate con le corrispondenti formazioni paleozoico inferiori affioranti nella Sardegna centrale (Puxeddu et alii, 1984; Pandeli & Puxeddu, 1990).
Questa unità, di spessore superiore a 50 m, è rappresentata da calcescisti stratificati (generalmente di spessore attorno ai 10-40 cm), di colore grigio e grigio-verdastro con intercalazioni millimetriche di filladi da grigio verde a nero. Sono comuni anche bandature e noduli silicei bianchi (metaselci), particolarmente nella parte medio-alta della successione continuando per circa 100 m dopo il negozio di souvenir lungo la strada verso il bivio per Rio Elba. Le vene di caIcite ± pirite ± quarzo e adularia sono onnipresenti. Il contatto con le soprastanti Filladi e metasilti di Porticciolo (con intercalazioni di calcescisti) è graduale.
Fig. 1 - Schema geologico della Valle di Ortano
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Per iniziare a vedere le rocce che costituiscono l’unità più profonda affiorante (Unità Ortano costituita da rocce metamorfiche non fossilifere di età Paleozoica ben esposte vedi colonna stratigrafica in Fig.2) si prosegue fino alle rovine di un pontile, poi verso sud lungo la scogliera quarzitica (sentiero) fino ad una frana.
Tutte queste rocce sono state correlate con le corrispondenti formazioni paleozoico inferiori affioranti nella Sardegna centrale (Puxeddu et alii, 1984; Pandeli & Puxeddu, 1990).
Si tratta di filladi, filladi quarzitiche e metasiltiti grigio-verdastre fino a nere con locali livelli decimetrici / metrici di marmi e calcescisti e rare metarenarie grigio-verdastri. Talora sono riconoscibili vene post- tettoniche di adularia ± tremolite / actinolite ± albite.
A nord di Ortano (area di Porticciolo), Duranti et al. (1992) riconobbero una associazione fossilifera a radiolari, calpionellidi e globigerinidi del Cretaceo inferiore nelle intercalazioni marmoree.
Fig. 1 - Schema geologico della Valle di Ortano
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Per iniziare a vedere le rocce che costituiscono l’unità più profonda affiorante (Unità Ortano costituita da rocce metamorfiche non fossilifere di età Paleozoica ben esposte vedi colonna stratigrafica in Fig.2) si prosegue fino alle rovine di un pontile, poi verso sud lungo la scogliera quarzitica (sentiero) fino ad una frana.
Tutte queste rocce sono state correlate con le corrispondenti formazioni paleozoico inferiori affioranti nella Sardegna centrale (Puxeddu et alii, 1984; Pandeli & Puxeddu, 1990).
Si tratta di rocce massicce di serpentinite verde scuro (lherzolite) di circa 100 m di spessore. Sono riconoscibili al suo interno fasce di fratturazione e la pervasiva foliazione che le rende localmente dei serpentinoscisti.
Fig. 1 - Schema geologico della Valle di Ortano
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Per iniziare a vedere le rocce che costituiscono l’unità più profonda affiorante (Unità Ortano costituita da rocce metamorfiche non fossilifere di età Paleozoica ben esposte vedi colonna stratigrafica in Fig.2) si prosegue fino alle rovine di un pontile, poi verso sud lungo la scogliera quarzitica (sentiero) fino ad una frana.
Tutte queste rocce sono state correlate con le corrispondenti formazioni paleozoico inferiori affioranti nella Sardegna centrale (Puxeddu et alii, 1984; Pandeli & Puxeddu, 1990).
Questa formazione costituisce il termine basale dell’Unità di Monticiano Roccastrada è qui rappresentata solo dalla Formazione di Rio Marina.
In questo affioramento lo spessore massimo della formazione è di circa 50 m. Le sue litologie sono filladi grafitose nere e metasiltiti da grigie a nerastre con intercalazioni di metarenarie quarzitiche grigie. Negli affioramenti di Vigneria (Rio Marina) e di Terranera sono stati rinvenuti fossili vegetali e di organismi marini (crinoidi, ecc.). Si osservano localmente delle vene tettoniche di quarzo ± pirite. Più a monte, risalendo verso il M.Fico, le filladi grafitose passano stratigraficamente, ma bruscamente verso l’alto alle quarziti e metaconglomerati quarzosi del Verrucano triassico (vedi carta geologica).
Fig. 1 - Schema geologico della Valle di Ortano
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Per iniziare a vedere le rocce che costituiscono l’unità più profonda affiorante (Unità Ortano costituita da rocce metamorfiche non fossilifere di età Paleozoica ben esposte vedi colonna stratigrafica in Fig.2) si prosegue fino alle rovine di un pontile, poi verso sud lungo la scogliera quarzitica (sentiero) fino ad una frana.
Tutte queste rocce sono state correlate con le corrispondenti formazioni paleozoico inferiori affioranti nella Sardegna centrale (Puxeddu et alii, 1984; Pandeli & Puxeddu, 1990).
Lo spessore massimo di questa formazione è qui circa 150 m e costituisce la breccia tettonica di base della Falda Toscana (che qui è assente per laminazione tettonica). Presenta un aspetto massiccio e cataclastico. Il colore di questa breccia è grigio e i suoi elementi eterometrici risultano calcareo-dolomitici. Spesso si notano strutture vacuolari. A volte sono evidenti nella massa cataclastica carbonatica, anche elementi di filladi grigio perla e verdastre, nonchè granuli di quarzo. Localmente si notano anche vene di calcite ± ossidi/ idrossidi di ferro ocracei. Nella cataclasite sono presenti anche inclusi di dolomie e calcari dolomitici triassici di taglia metrica, così come alterazioni carsiche e riempimenti sedimentari (tasche di sabbia carbonatica giallastra).
Fig. 1 - Schema geologico della Valle di Ortano
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Per iniziare a vedere le rocce che costituiscono l’unità più profonda affiorante (Unità Ortano costituita da rocce metamorfiche non fossilifere di età Paleozoica ben esposte vedi colonna stratigrafica in Fig.2) si prosegue fino alle rovine di un pontile, poi verso sud lungo la scogliera quarzitica (sentiero) fino ad una frana.
Tutte queste rocce sono state correlate con le corrispondenti formazioni paleozoico inferiori affioranti nella Sardegna centrale (Puxeddu et alii, 1984; Pandeli & Puxeddu, 1990).
Si compone di ardesie (argilloscisti) grigio-verdastre e rosso-vinate e siltiti con vene di quarzo sin- / post-tettoniche. Sono presenti locali livelli manganiferi nerastri e rari letti calcareo-silicei.
Questa Unità risulta ancora di dubbia collocazione stratigrafica e paleogeografica (Falda Toscana o Unità M.Strega). Bortolotti et al. (2001) e Pandeli et al. (2001) propongono per essa una correlazione con parte degli Schistes Lustrés a causa di un debole metamorfismo specie nei suoi termini basali marmorei-calcescistosi (vedi Geosito 12 de La Parata).
Fig. 1 - Schema geologico della Valle di Ortano
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Da Portoferraio si procede sulla strada dell’Elba occidentale fino a Procchio, poi si gira a sinistra per Marina di Campo. Da questa località si prosegue per Fetovaia-Pomonte sulla strada panoramica del M. Capanne attraversando il Colle di Palombaia, Cavoli e Seccheto. Arrivati a Fetovaia si prosegue per circa 750 m fino ad uno spiazzato sulla sinistra da cui parte il sentiero per la Penisola di Fetovaia. In querst’area affiorano i terreni dell’Unità di Punta Le Tombe. Ci si porta lungo il fianco a monte della strada panoramica dove affiorano le rocce sedimentarie stratificate dei Calcari e Marne di M.Agaciaccio (Unità Punta le Tombe). Quindi attraversiamo la strada e diamo lo sguardo verso mare nell’ area di affioramento delle Brecce di Punta Le Tombe e la attraversiamo con un sentiero che scende a mare dallo spiazzato.
Riprendiamo la strada panoramica per Pomonte. Dopo poco più di un chilometro si raggiunge una brusca curva a destra e ad un ponticello sul Torrente Ogliera. Qui affiorano le rocce termometamorfiche dell’Unità Punta Polveraia-Fetovaia (Geosito2). Si prosegue per altri 750 m circa fino ad arrivare ad un punto di sosta panoramico con piccolo parcheggio sulla destra. Qui è ben esposto sulla scarpata a monte della strada il contatto tra metabasalti e metadiaspri dell’Unità Punta Polveraia-Fetovaia intruso da uno sciame di dicchi magmatici chiari.
Fig. 1 - a) Schema tettonico dell'Isola d'Elba Occidentale (da Pandeli et al., 2018 e Principi et al., 2015a, b modificato). EBF = Faglia di Colle Palombaia-Procchio, FF = Faglia di Fetovaia. b) Schema strutturale stratigrafico delle Unità dell'Elba occidentale (le colonne stratigrafiche non sono in scala): PFU = Unità Punta Polveraia-Fetovaia (a-serpentinite, b-metagabbro, c-dicchi metabasaltici, d-metabasalti, e-metadiaspri, f- metacalcari g- metapeliti e metacalcari, h- Mt.Capanne monzogranite), PTU = Punta Le Tombe Unit (a-serpentinite, b- Breccia e olistostroma di Punta Le Tombe, c- Calcari e marne di M. Agaciaccio; d- olistolite e breccia )
L’ Unità di Punta Le Tombe riposa attraverso una superficie di faglia a basso angolo (faglia di Fetovaia, FF in Fig. 1) sulle rocce termometamorfiche dell’Unità di Punta Polveraia-Fetovaia.
- Calcari e Marne di M.Agaciaccio. Lungo il fianco a monte della strada affiora una successione stratificata costituita da strati di spessore da centimetrico a decimetrico calcari marnosi e calcareniti grigie (grigio chiaro-giallastro per agenti atmosferici) talora alternati a livelli di argilliti grigio-nerastri, marne, arenarie calcaree grigie e siltiti (Fig. 2).
Fig. 2 - La successione stratificata dei Calcari e marne di M.Agaciaccio
Gli strati immergono di circa 30 ° ÷ 40 ° verso ovest. All’ interno di questa successione sono presenti anche corpi di gabbri e serpentiniti (olistoliti). Tutte queste rocce non presentano evidenti segni di termometamorfismo da parte del corpo intrusivo del M. Capanne. Sono comunque evidenti sistemi di fratture spaziate di 1 ÷ 2 cm riferibili a clivaggi di frattura associati alle pieghe tardive di scarico delle coperture durante l’ascesa del M. Capanne. Sono evidenti anche molte vene di calcite biancastra (con crescita di cristalli euedrali) che tagliano verticalmente le rocce e talora anche il clivaggio di frattura.
Attraversiamo la strada e volgiamo lo sguardo a mare verso la scogliera a sinistra che è raggiungibile discendendo un sentiero dallo spiazzato di sosta.
- Brecce di Punta Le Tombe
Lungo la falesia subito sopra il mare è esposto un orizzonte decametrico di brecce in matrice argillitica (olistostroma) (Fig. 3). L’olistostroma è costituito da clasti poligenici spigolosi di dimensioni da millimetriche a metriche derivanti da successioni ofiolitiche tipo Unità M.Strega. In particolare sono riconoscibili elementi di calcari spesso silicei (provenienti dalle Formazioni del Calcare a Calpionella e da quelli delle Argille a Palombini), di diaspri (provenienti dalla Formazione dei Diaspri di M. Alpe) e di ofiolitici (per lo più serpentiniti) in una matrice foliata fissile nerastra di natura cloritico-serpentinitica-argillitica.
Fig. 3 - L’ olistostroma delle Brecce di Punta Le Tombe
Al di sopra dell’olistostroma sono presenti vari strati lenticolari di arenarie e microconglomerati ad elementi ofiolitici con interstrati argilloso-marnosi. Non mancano olistoliti di taglia anche metrico-decametrica generalmente costituiti da serpentiniti, ma talora anche da spezzoni della serie ofiolitica (es. contatto Basalti/Diaspri di M.Alpe).
Le Brecce di Punta Le Tombe risultano stratigraficamente intercalate nella parte inferiore dei Calcari e Marne di M.Agaciaccio.
La successione stratigrafica dell’Unità Punta Le Tombe è stata datata al Paleocene-Eocene per la presenza di fossili (foraminiferi tra i quali i nummuliti: Perrin, 1975; Bouillin, 1983; Spohn, 1981) e correlata con l’analoga e coeva Unità Lacona dell’ Elba centro-orientale (vedi Principi et al., 2015 a, b).
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Da Portoferraio si procede sulla strada dell’Elba occidentale fino a Procchio, poi si gira a sinistra per Marina di Campo. Da questa località si prosegue per Fetovaia-Pomonte sulla strada panoramica del M. Capanne attraversando il Colle di Palombaia, Cavoli e Seccheto. Arrivati a Fetovaia si prosegue per circa 750 m fino ad uno spiazzato sulla sinistra da cui parte il sentiero per la Penisola di Fetovaia. In querst’area affiorano i terreni dell’Unità di Punta Le Tombe. Ci si porta lungo il fianco a monte della strada panoramica dove affiorano le rocce sedimentarie stratificate dei Calcari e Marne di M.Agaciaccio (Unità Punta le Tombe). Quindi attraversiamo la strada e diamo lo sguardo verso mare nell’ area di affioramento delle Brecce di Punta Le Tombe e la attraversiamo con un sentiero che scende a mare dallo spiazzato.
Riprendiamo la strada panoramica per Pomonte. Dopo poco più di un chilometro si raggiunge una brusca curva a destra e ad un ponticello sul Torrente Ogliera. Qui affiorano le rocce termometamorfiche dell’Unità Punta Polveraia-Fetovaia. Si prosegue per altri 750 m circa fino ad arrivare ad un punto di sosta panoramico con piccolo parcheggio sulla destra. Qui è ben esposto sulla scarpata a monte della strada il contatto tra metabasalti e metadiaspri dell’Unità Punta Polveraia-Fetovaia intruso da uno sciame di dicchi magmatici chiari.
L'Unità di Punta Polveraia-Fetovaia (Vedi anche il Geosito di Spartaia) è costituita da metaofioliti (serpentiniti, gabbri con filoni basaltici e basalti) e una copertura metasedimentaria (diaspri, calcari a Calpionella e argille a Palombini). Questa unità si trova direttamente a contatto con i granitoidi dell’intrusione del M.Capanne (~ 6.2-6.9 Ma, dati radiometrici di: Jateau et al., 1984; Ferrara e Tonarini, 1985) che ha così prodotto una evidente impronta termometamorfica sulle rocce ofiolitiche incassanti. L'area di Fetovaia-Pomonte-Punta Nera fu ampiamente studiata da Marinelli (1959), Barberi e Innocenti (1965; 1966), e Bouillin (1983) che collegò l'unità ofiolitica affiorante al Complesso IV di Trevisan (1951) termometamorfosata e deformata dall’ intrusione monzogranitica del Monte. Capanne. Perrin (1975), Spohn (1981) e Reutter and Spohn (1982) riconobbero in queste rocce anche una strutturazione tettometamorfica precedente all’ intrusione che il primo riferì all'evoluzione della catena alpina, mentre gli altri la attribuirono alla tettogenesi appenninica.
Secondo Spohn (1981) e Reutter and Spohn (1982), l’assetto strutturale dell'Unità Punta Polveraia-Fetovaia è costituita da una serie di pieghe sin-metamorfiche, est-vergenti, successivamente appiattite e scaricate verso ovest durante l’intrusione e ascesa del plutone del Monte Capanne (Daniel e Jolivet, 1995). Quest'ultimo produsse anche la ricristallizzazione delle rocce oceaniche fino al medio-alto grado (facies delle cornubianiti ad orneblenda: Barberi e Innocenti, 1965, 1966; facies delle cornubianiti a pirosseno: Spohn, 1981; vedi anche Pandeli et al., 2018 con bibliografia). Gli studi strutturali e petrografici, eseguiti durante il Progetto CARG, hanno confermato in modo sostanziale che l’assetto strutturale dell’Unità Punta Polveraia-Fetovaia sia legato all’attività metamorfica e deformativa polifasica della messa in posto del plutone del M.Capanne (Pandeli et al., 2018 con bibliografia).
Fig. 1 - a) Schema tettonico dell'Isola d'Elba Occidentale (da Pandeli et al., 2018 e Principi et al., 2015a, b modificato). EBF = Faglia di Colle Palombaia-Procchio, FF = Faglia di Fetovaia. b) Schema strutturale stratigrafico delle Unità dell'Elba occidentale (le colonne stratigrafiche non sono in scala): PFU = Unità Punta Polveraia-Fetovaia (a-serpentinite, b-metagabbro, c-dicchi metabasaltici, d-metabasalti, e-metadiaspri, f- metacalcari g- metapeliti e metacalcari, h- Mt.Capanne monzogranite), PTU = Punta Le Tombe Unit (a-serpentinite, b- Breccia e olistostroma di Punta Le Tombe, c- Calcari e marne di M. Agaciaccio; d- olistolite e breccia )
Camminando lungo la strada è possibile attraversare una strutture a piega sinclinale rovesciata verso est che deforma le rocce dell’Unità Punta Polveraia-Fetovaia (Fig. 2) che, al di là della ricristallizzazione, ricordano quelle della successione ofiolitica dell’Unità M.Strega. La piega sinclinale è del tipo stretto/isoclinale con il piano assiale che si immerge verso ovest di circa 50 °. Il nucleo della sinclinale è costituito per lo più da metacalcari a Calpionella (marmi silicei biancastri, grigi e verdastri spesso con livelli e noduli di selce; ai marmi possono intercalarsi sottili strati di metapeliti biotitiche grigio nerastre e calcescisti varicolori), ma spostandosi sulla strada verso Fetovaia, dopo la curva a destra si notano anche le meta-argille a Palombini (argilloscisti/filladi con intercalazioni marmoree).
Fig. 2 - Vista generale dell'area del ponte sul T. Ogliera:la strada attraversa una stretta sinclinale S2 tagliata dalle strutture di clivaggio S3.
P = argille a Palombini, C = calcare di Calpionella, D = diaspri (da Coli & Pandeli, 2001).
I fianchi della piega sono costituiti da metadiaspri fittamente stratificati (quarziti rosse e verdi in strati spessi da millimetrici fino a 25 cm, localmente con sottili interstrati di argilliti più o meno silicee ricristallizate).
Localmente sono evidenti dei bei motivi plicativi minori alla scala metrica (Fig. 3) e, più raramente, relitti di cerniere di pieghe isoclinali sdradicate all'interno della foliazione principale di piano assiale (S2) della piega che potrebbero testimoniare di un evento metamorfico-deformativo che precede quello delle meso-pieghe.
Fig. 3 - Pieghe nei metacalcari a Calpionelle lungo la strada del ponte del T.Ogliera
I metacalcari a Calpionelle si presentano in genere più plastici dei diaspri come avviene spesso in condizioni di termometamorfismo. L'intero affioramento è tagliato trasversalmente da strutture di clivaggio crenulazione/frattura spaziate alla scala centimetrica (1 ÷ 2 cm) e a giacitura sub-orizzontale; queste strutture sono legate, come quelle analoghe del Geosito di Punta Le Tombe, a pieghe di scarico delle rocce incassanti verso ovest ad opera del sollevamento del M. Capanne.
Poco oltre il ponte, procedendo per Pomonte, si notano nei metadiaspri alcuni filoni magmatici di colore biancastro a composizione aplitica/microgranitica e con giacitura verticale che si sono spesso iniettati anche lungo la foliazione principale delle rocce (Fig. 4).
Fig. 4 - Filone leocogranitico/aplitico entro i metadiaspri presso il ponte sul T.OglieraContinuando lungo strada si arriva ad un ingresso di una villetta sulla sinistra ove sono esposte belle strutture a piega nei metadiaspri alla scala metrica
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Da Portoferraio si procede sulla strada dell’Elba occidentale fino a Procchio, poi si gira a sinistra per Marina di Campo. Da questa località si prosegue per Fetovaia-Pomonte sulla strada panoramica del M. Capanne attraversando il Colle di Palombaia, Cavoli e Seccheto. Arrivati a Fetovaia si prosegue per circa 750 m fino ad uno spiazzato sulla sinistra da cui parte il sentiero per la Penisola di Fetovaia. In quest’area affiorano i terreni dell’Unità di Punta Le Tombe. Ci si porta lungo il fianco a monte della strada panoramica dove affiorano le rocce sedimentarie stratificate dei Calcari e Marne di M. Agaciaccio (Unità Punta le Tombe). Quindi attraversiamo la strada e diamo lo sguardo verso mare nell’ area di affioramento delle Brecce di Punta Le Tombe e la attraversiamo con un sentiero che scende a mare dallo spiazzato.
Riprendiamo la strada panoramica per Pomonte. Dopo poco più di un chilometro si raggiunge una brusca curva a destra e ad un ponticello sul Torrente Ogliera. Qui affiorano le rocce termometamorfiche dell’Unità Punta Polveraia-Fetovaia. Si prosegue per altri 750 m circa fino ad arrivare ad un punto di sosta panoramico con piccolo parcheggio sulla destra. Qui è ben esposto sulla scarpata a monte della strada il contatto tra metabasalti e metadiaspri dell’Unità Punta Polveraia-Fetovaia intruso da uno sciame di dicchi magmatici chiari.
L'Unità di Punta Polveraia-Fetovaia (Vedi anche il Geosito di Spartaia) è costituita da metaofioliti (serpentiniti, gabbri con filoni basaltici e basalti) e una copertura metasedimentaria (diaspri, calcari a Calpionella e argille a Palombini). Questa unità si trova direttamente a contatto con i granitoidi dell’intrusione del M. Capanne (~ 6.2-6.9 Ma, dati radiometrici di: Jateau et al., 1984; Ferrara e Tonarini, 1985) che ha così prodotto una evidente impronta termometamorfica sulle rocce ofiolitiche incassanti. L'area di Fetovaia-Pomonte-Punta Nera fu ampiamente studiata da Marinelli (1959), Barberi e Innocenti (1965; 1966), e Bouillin (1983) che collegò l'unità ofiolitica affiorante al Complesso IV di Trevisan (1951) termometamorfosata e deformata dall’ intrusione monzogranitica del Monte. Capanne. Perrin (1975), Spohn (1981) e Reutter and Spohn (1982) riconobbero in queste rocce anche una strutturazione tettometamorfica precedente all’ intrusione che il primo riferì all'evoluzione della catena alpina, mentre gli altri la attribuirono alla tettogenesi appenninica.
Secondo Spohn (1981) e Reutter and Spohn (1982), l’assetto strutturale dell'Unità Punta Polveraia-Fetovaia è costituita da una serie di pieghe sin-metamorfiche, est-vergenti, successivamente appiattite e scaricate verso ovest durante l’intrusione e ascesa del plutone del Monte Capanne (Daniel e Jolivet, 1995). Quest'ultimo produsse anche la ricristallizzazione delle rocce oceaniche fino al medio-alto grado (facies delle cornubianiti ad orneblenda: Barberi e Innocenti, 1965, 1966; facies delle cornubianiti a pirosseno: Spohn, 1981; vedi anche Pandeli et al., 2018 con bibliografia). Gli studi strutturali e petrografici, eseguiti durante il Progetto CARG, hanno confermato in modo sostanziale che l’assetto strutturale dell’Unità Punta Polveraia-Fetovaia sia legato all’attività metamorfica e deformativa polifasica della messa in posto del plutone del M. Capanne (Pandeli et al., 2018 con bibliografia).
Fig. 1 - a) Schema tettonico dell'Isola d'Elba Occidentale (da Pandeli et al., 2018 e Principi et al., 2015a, b modificato). EBF = Faglia di Colle Palombaia-Procchio, FF = Faglia di Fetovaia. b) Schema strutturale stratigrafico delle Unità dell'Elba occidentale (le colonne stratigrafiche non sono in scala): PFU = Unità Punta Polveraia-Fetovaia (a-serpentinite, b-metagabbro, c-dicchi metabasaltici, d-metabasalti, e-metadiaspri, f- metacalcari g- metapeliti e metacalcari, h- Mt.Capanne monzogranite), PTU = Punta Le Tombe Unit (a-serpentinite, b- Breccia e olistostroma di Punta Le Tombe, c- Calcari e marne di M. Agaciaccio; d- olistolite e breccia)
Nella scarpata a monte della strada si nota un interessante affioramento costituito da metabasalti verdi scuri, in genere foliati, che passano bruscamente in alto alle quarziti fittamente stratificate dei metadiaspri (Fig. 2) da verdastri a nerastri. Le associazioni mineralogiche originarie dei basalti (pirosseno+plagioclasio calcico) sono state sostituite dalle associazioni di minerali termometamorfici (anfiboli+plagioclasi intermedi). Tutte queste rocce sono intruse da dicchi e filoni strato (ovvero a giacitura discordante o concordante con le stratificazioni) magmatici di colore biancastro. Si tratta di apliti (contengono quarzo e feldspato potassico, nonché piccoli cristalli di tormalina nerastra) legate al sistema filoniano del M. Capanne.
Fig. 2 - Contatto basalti (B) con i sovrastanti diaspri (C) con iniezioni di dicchi e filoni strato aplitici
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Le rocce qui affioranti sono quelle dell’Unità dell’Acquadolce ed in particolare quelle della Formazione delle filladi e metasiltiti con intercalazioni di calcescisti (ovvero la subunità Porticciolo). In particolare davanti alla Torre sono esposte rocce metamorfiche filladico-quarzitiche di colore grigio-verdastro. Proseguendo lungo la strada si notano anche intercalazioni marmoree-calcescistose. Si raggiunge un banco metrico marmoreo-calcescistoso biancastro. Proseguendo, tutte le rocce scistose mostrano sempre più di essere state interessate da fenomeni di sostituzione (metasomatosi) ad opera di fenomeni idrotermali come ad esempio le vaste plaghe di epidoto giallo-verde che tende a cancellare la struttura tettono-metamorfica. Le mineralizzazioni e sostituzioni diventano sempre più pervasive con la comparsa di aggregati cristallini verdi scuri di pirosseno hedenbergitico spesso con forme a ventaglio o a fiore/raggiate. Questo segna il contatto con lo skarn di Torre di Rio o di S.Filomena. Questo skarn è eccezionalmente ben sviluppato (Fig. 1) e prosegue sia a monte che verso mare lungo la scogliera. La mineralizzazione preferenzialmente gli strati marmorei-calcescistosi presenti nelle Filladi e siltiti dell'Unità Acquadolce, formando grandi masse, di epidoto, pirosseno hedenbergitico (localmente fino a dimensioni pluricentimetriche a decimetrico in forma di mega-rossette o di ventagli) e ilvaite nerastra (che sostituisce l’ hedembergite) ai quali possono associarsi quarzo, clorite e piccole quantità di minerali di ferro (magnetite, pirite e pirrotite), che giustificavano una limitata attività di sfruttamento in passato. Alla scala dell’affioramento si nota chiaramente particolarmente i marmi/calcescisti sono sostituiti dai fluidi delle mineralizzazioni a skarn che si infiltrarono preferibilmente lungo i piani di scistosità della roccia, come già sottolineato da Lotti (1886). I cristalli neri ad aspetto sub-metallico ed abito prismatico furono qui descritti per la prima volta fin dall’ inizio dell’800 e successivamente denominati ilvaite dal nome latino (Ilva) dell'Isola d'Elba. Particolarmente bello è l’affioramento di skarn a mega-rosette di hedembergite che si trova scendendo le scalette verso una piattaforma sulla riva del mare.
Fig .1 – Veduta da mare del corpo di skarn di Torre di Rio (da Lotti, 1886).
Alla base della Torre dell'orologio o degli Appiani è esposto il banco metrico marmoreo-calcescistoso già osservato sulla strada; si prosegue lungo il molo fino alla piccola torre davanti all’ imbarco dei traghetti ove è il Geosito 28. Anche la base di questa torre è costituita da un banco orizzonte decametrico di metacarbonati (marmi grigio-biancastri a grigio-verdastrie calcescisti con belle strutture plastiche metamorfiche a pieghe spesso di tipo isoclinale) presente all'interno delle Filladi e metasiltiti dell’Unità Acquadolce. Deino et al. (1992) ottenenne un'età radiometrica 40Ar / 39Ar di 19-20 Ma per la scistosità principale, ovvero per il metamorfismo delle stesse. Si volge lo sguardo verso NW, ovvero verso l’area mineraria alle spalle dell’abitato di Rio Marina.
Il paesaggio alle spalle di Rio Marina (Fig. 1) è dominato dai cantieri minerari di Rio Marina (da sinistra: Bacino, Zuccoletto, Valle Giove e Vigneria) e dal Monte Torre del Giove, con le rovine di un castello del 16° secolo. I corpi minerari di Rio Marina sono ospitati nelle rocce nerastre del Carbonifero superiore- Permiano inferiore (Formazione di Rio Marina) e del Triassico medio-superiore (Gruppo del Verrucano) dell'unità Monticiano-Roccastrada (vedi Fig. 2).
A nord dell'ultima casa di Rio Marina (Fig. 1), la serpentinite tettonizzata che costituisce il tetto dell'Unità di Acquadolce è riconoscibile con immersione verso mare ed è tettonicamente coperta dai metasedimenti fossiliferi permiano-carboniferi della Formazione di Rio Marina (filladi e metasiltiti grafitose con locali intercalazioni di metarenarie e più raramente di metaconglomerati di ambiente deltizio-costiero). Dietro Rio Marina e l’area mineraria di Vigneria è riconoscibile la zona mineraria di Valle Giove e la Torre del Giove) (Fig. 1).
Fig. 1 – Veduta panoramica delle miniere di Rio Marina (Bacino e Valle Giove) dalla banchina del porto.
Serpentiniti sommitali dell’Unità Acquadolce; Unità Monticiano-Roccastrada: RM- Formazione di Rio Marina fm; Gruppo del Verrucano (V1- Formazione della Verruca; Formazione delle Quarziti di Monte Serra: V2-Membro delle Quarziti verdi; V3- Membro delle quarziti bianco-rosa).
La successione del Gruppo di Verrucano affiora al di sopra della Formazione di Rio Marina. I metasedimenti del gruppo Verrucano rappresentano i depositi trasgressivi di base del ciclo sedimentario alpino. La successione Verrucano dell'Isola d'Elba (Deschamps, 1980; Deschamps et al. 1983; Pandeli, 2002), di età triassica (Ladinico superiore-Carnico) e di spessore di oltre 350 m, è composto da tre unità litologiche correlabili alla successione tipo del Verrucano dei Monti Pisani (cfr. Rau & Tongiorgi, 1974). Dalla base stratigrafica verso l'alto sono presenti:
- Formazione Verruca. Affiora estesamente nelle aree minerarie alle spalle e a nord di Rio Marina (ad es. aree minerarie del Bacino, Valle Giove e Vigneria). Questa formazione è composta da filladi verdi e violacee e subordinatamente da metasiltiti, quarziti laminate e metaconglomerati quarzitici lenticolari (fino a 4-5 m di spessore). Paleoambiente: continentale con fiumi a sinuosità medio-alta.
-Quarziti di Monte Serra. Sono esposti nella parte superiore della miniera di Valle Giove e sul fianco orientale del Monte Torre del Giove.
Due membri sono stati distinti, dalla base:
1- Membro delle quarziti verdi. E’ rappresentato da quarziti grigio-verdastre talora con laminazioni piano-parallele o incrociate con intercalazioni filladiche e di rari metaconglomerati. Paleoambiente: litorale di spiaggia.
2- Membro delle quarziti bianchi-rosa. Si tratta di quarziti stratificate prevalente di colore grigio pallido / rosacon interstrati filladici ed orizzonti di metaconglomerati. Paleoambiente: litorale deltizio.
Fig .2 – Colonna tettono-stratigrafica dell’ Unità Monticiano-Roccastrada
Nella parte più occidentale della miniera di Valle Giove, sono presenti anche marmi, calcescistie filladi calcaree varicolori (Calcari di Valle Giove nella carta geologica) sono intercalati tettonicamente nella successione del Verrucano alla base del Calcare Cavernoso della soprastante Falda Toscana (vedi Fig. 3). Litotipi simili sono presenti anche nel sottosuolo della miniera di Vigneria (Calcari di Vigneria) tettonicamente interposti tra la serpentinite e la Formazione di Rio Marina. Questi litotipi variegati rappresentano probabilmente scaglie tettoniche di una successione toscano epimetamorfica di età mesozoico-cenozoica (ad esempio la successione di Capo Castello a nord di Cavo, vedi l’omonimo Geosito).
I depositi minerari di ferro delle miniere di Rio Marina, che proseguono anche nelle aree più a nord quasi fino a Cavo (es. la miniera di Rialbano), sono costituiti da corpi stratiformi, massicci o filoniani localizzati preferenzialmente al contatto tra le filladi permo-carbonifero della Formazione di Rio Marina o tra le rocce quarzitiche-filladiche del Verrucano triassico e livelli calcarei sovrastanti (Calcare Cavernoso). Secondo alcuni autori (cfr Gillieron, 1959) nel settore settentrionale (Cala Seregola, Rialbano) la giacitura dei corpi minerali è marcatamente controllata da linee tettoniche, prodotte durante gli eventi tettogenetici appenninici. Tuttavia, almeno a Rio Marina (zona Valle Giove), Deschamps et al. (1983) riconobbero la presenza di una mineralizzazione stratificata di pirite all'interno di un particolare orizzonte del Verrucano, che potrebbe rappresentare la testimonianza di una concentrazione sin-sedimentaria (sin-genetica) di ferro. Tutti questi depositi sono caratterizzati da ematite come minerale minerale principale (es. la nota varietà oligisto), che può mostrare un tipico habitus da lamellare-micaceo a romboedrico con cristalli spesso ricoperti da pellicole iridescenti di idrossidi di ferro. E’ anche comune la pirite, prevalentemente ad abito piritoedrico, anche se è presente in forma ottaedrica o cubica. Sono presenti anche corpi di limoniti di natura esogena per alterazione dei corpi metallici, ad aspetto massiccio o concrezionato (a volte stalattitico). La limonite può localmente costituire i principali minerali estratti dai lavori minerari come a Rialbano e in altri cantieri settentrionali. E’ da notare che negli anni 50-60, l’attività mineraria fu legata anche alla coltivazione delle miniere in sotterranea che coltivarono un corpo di pirite ed ematite associato a silicati di skarn, noto in letteratura come Rio Marina profondo.
Il viaggio continua lungo la strada per Cavo.
Dopo la miniera di Vigneria, i metasedimenti grafitosi della Formazione di Rio Marina continuano ad affiorare fino alla zona di Ripabianca (vedi carta geologica) dove è esposto il suo contatto con le soprastanti filladi e quarziti basali del Gruppo del Verrucano.
Attraversiamo il Fosso di Rialbano (con vista sul Monte Sassera costituito dalle Quarziti di Monte Serra) e la strada risale con alcuni tornanti (con affioramenti di filladi viola e quarziti grigio-rosadella Formazione della Verruca) per raggiungere l'area mineraria di Rialbano caratterizzata da mineralizzazioni ad ematite + limonite ± pirite. Qui si nota il contatto mineralizzato tra il Verrucano e le ardesie dell’Unità Gràssera (Formazione di Cavo) rappresentato da una faglia di tipo normale con immersione verso est (Faglia di Punta del Fiammingo). Guardando verso nord-ovest, si riconosce l’area mineraria di Monte Calendozio ove i calcari dolomitici e dolomie triassiche della base della Falda Toscana poggiano tettonicamente sulle Quarziti di Monte Serra del gruppo Verrucano(vedi carta geologica). Circa 1 km più avanti, lungo la strada, si attraversa nuovamente la Faglia di Punta del Fiammingo mediante la quale l'unità di Gràssera è stavolta in contatto tettonico con la Formazione di Rio Marina.
Continuiamo lungo la strada per Cavo e, in corrispondenza del Fosso di Fornacelle- Cala del Telegrafo, un’altra faglia mette a contatto lateralmente i terreni metamorfici dell’Unità Monticiano-Roccastrada con quelli non metamorfici, essenzialmente calcarei, di età triassico superiore-giurassico medio della Falda Toscana.
Proseguiamo fino a Cavo.
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Fig. 1 – Localizzazione dei cantieri dell’area mineraria di Calamita (da Calanchi et al., 1976)
In questa zona sono presenti rocce carbonatiche mesozoiche polimetamorfiche, ovvero che hanno subito più fasi di metamorfismo a partire da quello orogenico, poi proseguito in quello termico legato alla formazione e messa in posto dei corpi magmatici (es. il plutone di La Serra-Porto Azzurro). In particolare sono principalmente esposti calcari cristallini stratificati e calcari dolomitici, di colore grigio-biancastro con intercalazioni di filladi appartenenti alla Formazione di Tocchi del Triassico superiore) e talora anche marmi saccaroidi biancastri con livelli dolomitici grigi, massicci o scarsamente stratificati di età giurassica (Hettangiano). Questi ultimi sono ben esposti anche lungo il proseguimento della strada panoramica verso Costa dei Gabbiani. Queste rocce, che rappresentano le formazioni più recenti presenti al tetto dell’Unità di Porto Azzurro, più a nord entrano in contatto tettonico con le sottostanti filladi e quarziti paleozoiche del Complesso di Monte Calamita (vedi carta geologica) spesso ricristallizzate in rocce cornubianitiche dai fenomeni termometamorfici. Le rocce carbonatiche ricristallizzate sono state interessate da un ampio metasomatismo idrotermale, che hanno portato alla trasformazione delle rocce carbonatiche in associazioni a minerali silicatici definiti come skarn: uno ricco in granato (andradite), che risulta quantitativamente il più abbondante, e l’altro ad ilvaite-hedenbergite.
(Torrini, 1990). Come mostrato in Fig. 2, i corpi di skarn si presenti principalmente al contatto tettonico tra i metacarbonati e il sottostante Complesso di Monte Calamita (vedi carta geologica). Lo sfruttamento del ferro nell’area mineraria di Calamita iniziò probabilmente in epoca preromana, ma solo verso la metà del secolo scorso (circa 1860) proseguì su scala industriale. Stella (1921, 1933) ha stimato che almeno 2 milioni di tonnellate di ferro sono state estratte dal 1860 fino alla fine del secolo scorso e che le riserve risulterebbero approssimativamente dello stesso ordine di grandezza. Il settore settentrionale della miniera di Calamita è suddiviso in diverse aree di lavoro minerarie (vedi Fig. 1): Civetta, Albaroccia, Macei, Polveraio, Coti Nere. I minerali sfruttati erano strettamente associati ad entrambi i tipi di skarn sopra descritti, e consistevano in lenti e corpi massicci di magnetite (± kenomagnetite, ematite) e subordinatamente goethite con tracce di sfalerite, calcocite, arsenopirite, bornite e pirite. Inoltre, masse di solfuri di Fe-Cu (pirrotite, pirite, calcopirite, malachite, azzurrite, calcantite, ecc.) erano localmente coltivati al contatto tra lo skarn a granato e le lenti a magnetite (Torrini, 1990).
Fig. 2 -Sezione geologica a direzione N-S attraverso la miniera di Calamita (da Gillieron, 1959)
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Fig. 1 – Localizzazione dei cantieri dell’area mineraria di Calamita (da Calanchi et al., 1976)
Nel settore meridionale della miniera di Calamita (Vallone basso) l'attività di sfruttamento si è concentrata su diverse lenti a magnetite associate a skarn ad hedenbergite-ilvaite dei quali gli esempi più belli sono quelli presenti in corrispondenza delle scogliere presso Punta della Calamita ovvero quelli del Geosito2 (Fig. 2).
Fig. 2 - Cantiere del Vallone basso con i corpi di skarn mineralizzati di colore scuro ospitati entro i metacalcari biancastri.
I corpi di skarn e le mineralizzazioni sono per lo più allungati parallelamente al contatto tra i metacarbonati e le quarziti e filladi del Complesso di Monte Calamita (vedi sezione geologica in Fig. 3).
Fig. 3 -Sezione geologica a direzione N-S attraverso la miniera di Calamita (da Gillieron, 1959).
All'inizio del secolo scorso la produzione riguardava principalmente le rocce intensamente ossidate, alterate o decomposte presenti nella parte superiore ed esposta del giacimento minerario (ovvero il gossan limonitico dei minerali di ferro), successivamente fu quasi esclusivamente coltivata la magnetite. Al di sopra della cava, nel cosiddetto sito Grotta Rame, sono presenti anche vene ricche di Cu alle quali sono associati famose associazioni mineralogiche (con malachite, azzurrite, atacamite, paratacamite, ecc.) dagli sgargianti colori. Nel sovrastante cantiere del Vallone Alto, inoltre, sono stati rinvenuti anche rari minerali organici come la minguzzite (K3Fe (C2O4)3 3H2O) e l’ossalite (FeC2O4 2H2O) descritti da Cocco & Garavelli (1954).
Dal punto di vista dell’ evoluzione dell’evento mineralizzante è noto che la magnetite della miniera di Calamita sia nata sostituendo (ovvero pseudomorfa) la precedente ematite. Questa è una caratteristica molto particolare rispetto ai comuni depositi skarn di ferro, dove la magnetite è l'ossido di ferro primario.
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